Nella vita possiamo perderci, e molto spesso ci perdiamo. Ma non è mai per sempre.
La storia di Salvatore “Sasà” Striano, raccontata nel suo romanzo, parla di noi, della paura di cadere e, se cadiamo, di non farcela a rialzarci, di tradimento, perdono, vendetta, dell’irresistibile desiderio di libertà.
“La tempesta di Sasà” è un libro sul potere delle parole e della letteratura, sull’amore per i libri che può cambiare la vita. Sasà ne è la prova vivente. La sua personale e travolgente tempesta, la testimonianza più vera e più bella.
L’autore incontrerà gli studenti del Liceo delle Scienze umane venerdì 17 marzo, alle ore 10,30, nell’Aula magna della scuola, concludendo così il percorso di lettura “Maestri”.
L’AUTORE
Salvatore Striano (1972) è stato tante cose. Nato e cresciuto nel cuore di Napoli, in una delle zone più controllate dalla criminalità, a sette anni vendeva sigarette nei vicoli dei Quartieri spagnoli. A nove anni rubava rossetti e mascara nei centri commerciali per rivenderli alle prostitute, alle quali conduceva i soldati americani appena sbarcati al porto. A quattordici anni spacciava cocaina e diventava una delle figure più carismatiche delle Teste matte (una storia che ha raccontato nel romanzo “Teste matte”, scritto con Guido Lombardi e pubblicato da Chiarelettere nel 2014). Poi la fuga e la latitanza in Spagna, l’arresto, il carcere, prima a Madrid poi a Rebibbia, dove ha incontrato un maestro, Fabio Cavalli, che gli ha fatto scoprire la letteratura, Shakespeare, il teatro. Da allora, riconquistata finalmente la libertà, ha recitato per Matteo Garrone (“Gomorra”), per Guido Lombardi (“Take five”) e in molte altre produzioni, al cinema e in tv. Nel 2012 arriva la consacrazione, con il film “Cesare deve morire”, tratto dal “Giulio Cesare” di Shakespeare (Orso d’oro al Festival di Berlino). Come nel piccolo teatro del carcere di Rebibbia, ancora una volta Shakespeare ha dato una nuova direzione alla sua vita. Svolge un’intensa attività di incontri con gli studenti, ai quali trasmette la passione per la vita, la bellezza e l’arte, ma anche la riflessione sulla funzione rieducativa della pena, sulla percezione sociale della detenzione e sul riscatto possibile per ogni uomo.
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